DAVIDE ROMANÒ
Biografia di Davide Romanò
Mi guardo allo specchio ogni mattina, la mia immagine non ritarda mai, è lì ogni volta, mi aspetta,
simile ma ben diversa dalla proiezione della mia mente, in fondo anche lei mente ogni volta, quella
forma di luce riflessa è già persa, ma non me ne accorgo. Il tempo in fondo è un sogno.
Ogni volta dipingo e anche se dal vero traballo, fisso me su tela. Un po’ mi vergogno di quella
sfumatura che solo lì esiste. E’ così, da quanto ho ammesso di essere fragile, da quando, da ogni
cosa, mi accorgo, di starne sempre un po’ fuori, ma non è facile gestire quella parte di me che non sa
semplicemente riflettere la luce, la trattiene, la lavora, la consola e la restituisce non in forma ma in
schizzi e in parola.
Poche sono le cose che so ben spiegare, provo ad arrangiarmi, a gestirmi e forse son diventato bravo
a mentirmi, per poter respirare, galleggio per ben qui stare.
Fisso lo specchio per trovare la ruga che fa nascere tutto questo, son diverso? Non credo. Perverso?
Solo a volte spero. Bugiardo? Più che con gli altri, con me stesso, e questo è un mistero.
Dove nasce allora la voglia di raccontarsi su una tela, spogliarsi quasi ogni sera, non sono disperato,
forse delicato, come il respiro, come quando arrivo al cuore e mi sento vivo.
Vorrei lasciarti senza fiato perché è così che mi sento.
LEGGI LA RECENSIONE CRITICA A CURA DELLA DOTT.SSA ELENA GOLLINI
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INTERVISTA ALL’ARTISTA – a cura di Elena Gollini
D: Come definiresti il tuo stile espressivo di tendenza non convenzionale, usando tre parole chiave e motivandole;
R: Il mio stile espressivo deriva da una ricerca interiore, è una pittura poetica, materica, onirica. Amo scomporre la materia fino alla fine, fino alla profondità dell’anima per ritrovarmi in essa. Mi piacciono i contrasti netti, i neri che danno senso e sinuosità alle mie pennellate al mio sentire al mio rappresentare. Nel quadro ritrovo gli angoli sconosciuti, perfino a me, del mio io, galleggiano e si mostrano in tutta la loro sincerità e delicatezza creando paesaggi onirici dove trovano rifugio. Dipingo la poesia nascosta nel mio animo.
D: Da artista anticonformista come valuti allo stato attuale il comparto dell’arte contemporanea a livello nazionale e internazionale?
R: Il panorama artistico lo vedo al passo coi tempi, si sta allineando al mondo social, alla foto pubblicata su tablet. Questo ci fa sentire un po’ tutti artisti e ci rende visibili e fruibili, ma come nei rapporti questa tendenza elimina il contatto e il frutto del processo creativo è condizionato dalla luce, dal punto di vista e un click bene o mal riuscito può giudicare il lavoro dell’artista. Credo si debba trovare la giusta misura e non bisognerebbe mai dimenticare che lo “sporcarsi le mani” con un’opera sia fondamentale, viverla nel vero, toccandola, lasciandosi divorare dai meccanismi creativi che gli hanno dato forma rimane essenziale. La vita, con tutte le sue sfaccettature, s’incontra col sentire umano e genera arte. Questo incontro deve essere valorizzato e celebrato sempre.
D: Quali progetti creativi stai pianificando per il 2019?
R: Nel mio 2019 vorrei collocarmi e trovare dei punti di riferimento seri nel mondo dell’arte e grazie a loro e con loro poter crescere.
PHOTOGALLERY
UN SENSO D’ANSIA CHE M’INVESTE
Notte truccata,
truccata con luce,
fai vedere solo dove si deve
nascondendo cosi quel che ognuno di noi teme.
Come occhi che sanno di avere perso,
con un po’ di mascara possono mentire
e tu con una pennellata di luce riesci a togliermi la paura dell’angolo buio.
Dentro te mi perdo in me,
nei tuoi silenzi lontani sento i miei frastuoni vicini
i suoni della mia vita,
il mio tremare,
il mio gridare,
il boccheggiare
“qui non posso più stare”
Notte, attorno, anche in pieno giorno,
osservo, mi aggrappo, mi lego
eppure son già perso
eppure non siamo niente per l’universo.
Cerco luce, parola, conforto
vorrei fermare e non ritrovarmi morto.
Vorrei, vorrei
eppure so di avere torto.
Ho bisogno di quel lampione
deve illuminare l’angolo buio
anche se del dietro ho sempre un po’ paura
mi ci vuole luce, una scusa,
o un pensiero che conduce.
Notte come questa, truccata,
truccata con luce,
dove le cicale cantano
e solo il silenzio e due auto dominano la strada.
LEGGERO
È la vita che volevi?
Quella che raccontavi
prima di cadere nel tuo sogno appena, a te stesso, sussurrato.
E’ la vita che volevi?
quando, ti sporcavi le mani con la catena della bicicletta
e pensavi di aver lavorato,
quando, senza farti vedere, infilavi una lettera in un diario
ed eri sicuro di avere amato.
E’ la vita che volevi, questa,
dove alle quattro del mattino sporchi pagine bianche di parole,
dove piangi per un cielo troppo rosso,
dove pensi non posso, se qualcuno ti guarda troppo.
Dove, non riesci a stare,
dove, nella notte, davanti a casa, non riesci a respirare,
dove, per emergere dovresti sbranare,
dove, se ti criticano lasci fare,
dove, dall’ansia non puoi dormire,
dove, non sei all’altezza, neanche di abbandonare,
di conquistare con una carezza.
Dove tremi, dove speri, ma dovresti dire la tua,
dove, anche quella cosa mia, non mi interessa,
dove, ciò che è meglio, è sempre roba sua.
Sporchi tele con colore e poesia
pensando di essere un pittore,
ma sei un discreto attore
reciti o forse speri
che tutti questi numeri che governano siano seri,
decisione, precisione, acquisizione,
essere pronto nella situazione,
anche se hai paura e vuoi scappare ma devi restare,
anche se la parola tartaglia e inizi a balbettare, tremare, sudare…
Quel che prima non avevi,
è veramente, ora,
la vita che volevi?
IN PUNTA DI PIEDI
Intanto, il tempo passa
la giostra gira e continua a girare,
non c’è inizio
non c’è fine
non c’è percorso.
Gira attorno a se
anche se ora manchi te.
E’ un diverso passare
un diverso giro d’orologio
sono attento all’attimo, al particolare,
è un diverso guardare
le foglie cadere e lasciarsi andare
al destino del vento,
la gente passare,
le vetrine,
il vivere tutt’intorno
le luci di natale.
Il respiro traccia l’aria,
sono schivo, silenzioso,
di cattivo umore.
Il cappotto è ben testo
attento a non far scappare
il viaggiare del mio io.
Tu manchi, nelle piccole cose,
in una tazza di caffè al bar,
in un discorso tra amici senza senso,
in una canzone ascoltata per caso alla radio.
Tu manchi a quel pensiero
che pensa che ci sei,
a quel bacio che bacio e continuo a baciare
in punta di piedi.
Intanto, il tempo passa,
la giostra gira
e conto un mese
come ho contato una vita.
E’ un diverso passare,
un diverso giro d’orologio.
CHIUSO DENTRO
Ho chiuso per anni gli occhi. Ho chiuso per anni le orecchie, la bocca, il cuore, le porte, le finestre, le sensazioni, i ricordi, i profumi, i giorni. Ho chiuso senza chiavi, senza mani, senza recinzioni. Ho chiuso le sensazioni, le ragioni, le stagioni. Ho chiuso me, dentro me, e da me, ora, da quella profondità dell’anima scavata con la solitudine, mi sarà impossibile riemergere senza perdere il fiato.
Tutto è in un abbraccio. Tutto è lì o forse ne è fuori. Tutto è così, e cosi’ è perfetto.
AUTORITRATTO CONDIZIONATO
Tempo mi consumi dentro,
senza un senso
scivolo solo dentro.
Qui cerco l’idea per poter reagire
per poter a te sfuggire
a questa realtà, abiti qua,
in questa prigione
se ti volti sei sola
anima mia, sei altrove,
sei dove c’è ombra e non batte il sole,
sei frutto dell’oscurità della luce,
della passione,
la mia visione
la mia azione
bruciare, bruciare, bruciare,
nell’ultimo abbraccio
prima dell’andare.
INFINITO
Hai mai visto l’infinito?
E’ laggiù, dove il mio sguardo sfuma,
dove il cielo entra nel mare e sfoca.
E’ nella brezza che arriva da non so quale motivo
con una strana musica suonata dall’orchestra del silenzio,
e scompiglia i pensieri, come capelli.
E’ una macchina
che passa tra la terra brulla sulla lingua d’asfalto l’unica, cosa qui,
capace di ricordami, dove appoggiare i piedi.
Passa e va ignorando di sfiorare dove abita dio,
chiuso nel verde che compare qua e la,
chiuso in una casetta bianca arrampicata sulla montagna,
in una chiesa,
in un comignolo blu,
in un battito d’ali di gabbiano che apre e chiude
apre e chiude
e respira respira
e respiro.
SALVAMI LA VITA
A volte non riesco a stare,
a volte non riesco a dormire,
basterebbe andare.
A volte manca il dire
incontro lei, lui, lo sguardo,
lo sguardo che guardo
e quello che abbasso e non guardo.
Spesso ora sbaglio e tartaglio
come la fiamma della candela incerta.
Lei passa e mi sfiora,
“ti prego signora”
“salvami la vita, mi basta una parola.”
Mi basterebbe che il nero diventasse rosa
mi basterebbe la luce che tutto sfiora
e sapere che tu, così bella, come me,
in mezzo al tutto, ti senti sola.
A volte manca il fiato
e il niente diventa quasi niente
ma è quel quasi che mi salva.
L’ABBANDONO DEL GIORNO
Ti stringo forte,
come si stringono gli ultimi pensieri prima di dormire,
come si stringono le mani in un ti voglio,
come quando stai male
e solo affogando nel cuscino riesci a respirare,
come le porte,
quando si chiudono e ti lasciano fuori.
Ti stringo forte,
come quando mi aggrappo perché ho paura di cadere,
come quando chiudo forte gli occhi, perché non voglio vedere.
Come il cappotto,
quando la prima aria fredda vuole entrare,
come le labbra quando decidono di non annegare,
come un bacio che mi porta via,
come quella cosa che, di notte, mi prende il cuore e non mi fa dormire,
senza sapere cosa sia.
Come la mia malattia.
Ti stringo forte,
come la luce prima dell’abbandono del giorno,
sfuma via,
senza un presunto ritorno.
CITTA’ INGIOIELLATA
Lasciami qui,
appeso ad una stella, nel luogo
del non luogo,
dove la luce entra dentro
disegna il senso.
Lasciami qui,
nel posto del non posto,
fuori da ogni posto, fuori posto.
Dove faccio fatica ad intervenire,
dove nell’angolo guardo senza dire.
Dall’alto tutto va, e lo sguardo va a finire
resta il sentire.
Qui finisce la prospettiva.
Lasciami qui,
tra i miei spazi vuoti
tra la mia polvere
tra i miei sogni in cui, con una rima, son rimasto impigliato.
Lasciami qui, come si lascia la gente che non arriva mai prima,
camminare tra il rumore e questo bagliore.
Ti guardo, mentre ti leghi i pensieri e fingo
di essere altrove.
Sono lassù nel mio dondolare,
nella mia eterna ricerca che mi fa smettere di stare,
voglio andare,
voglio esplodere e bruciare,
voglio vibrare ad ogni costo,
anche qui, su una stella,
fuori posto.
TENTATIVO DI FUGA
Io provo la fuga da questo stare,
io provo la fuga da questo stare male.
Qui dal niente voglio salire
anche se le cose passano e dall’orizzonte sembrano fuggire,
anche se ho paura di essere da me investito, tranciato,
anche se so che perdere lei mi spezzerà il fiato.
Qui ho tutto ma sono sbagliato.
Voglio cogliere la luce lassù
e il pensiero che dentro me pugnala.
E’ solo una strada da cui provo la fuga
o forse dalla mia paura, dalla mia armatura.
Luci confuse rendono visibile questo intorno
ma è dove sfumano laggiù che creano il mio sogno
a cui appartengo
a cui mi tengo
a cui ritorno,
provando la fuga da questo mondo.
AUTUNNO
No, non ho tempo,
devo osservare la foglia scivolare
lungo le forme dell’aria ,
senza vento, oscillare, come me
in questa storia.
Silenzi e colori della passione,
sfumano sul marrone.
E’ stato un picco che ha illuso
ora ci rannicchiamo per cercare calore.
Sono dove tu mi vuoi,
come tu mi vuoi, eppure
non so più salire,
si può solo scivolare
lasciarsi andare
ognuno nella sua ragione
nella maledizione dell’appassire, spinge
senza avvertire.
Cadono le foglie e il rosso
sfuma sul marrone,
ora la gioia è diventata raggrinzita,
una ricerca spasmodica di calore.
E’ arrivato il tuo turno
colora e prenditi pure tutto, qui,
autunno.
PASSEGGIATA NOTTURNA
Ho sognato una passeggiata notturna,
lontano da me ma con me,
come me taciturna,
solo l’orizzonte raccontava di una vita lontana
come la speranza che il giorno bugiardo qui non mi avrebbe disturbato:
“Lasciami qui col mio sogno sognato”.
Ho bisogno di un abbraccio forte e di essere poi dimenticato.
Tutto coincideva,
tutto s’incastrava non si parlava,
il passo seguiva l’altro non c’era l’ansia,
si sognava si respirava primavera, era,
tutto si risolveva come
con una luce, nel buio, accesa.
SOLDATI
Sono circondato dal nemico
senza che nessuna guerra sia stata dichiarata.
Nella strada
il bimbo aggrappato al dito
una madre si gira affettuosa
e questa cosa che ho, in fondo alla gola,
mi blocca la parola.
Sono circondato, sono un soldato,
mi butto alla carica già morto senza essere colpito
urlo, senza essere sentito, dalla fretta
che in questa giornata fredda va,
una musica esce da un bar
una luce si accende
la gente dentro le case attende
si spende, si comprende.
Riparto senza essere partito
tradisco senza aver tradito
sono di me stesso mio nemico,
in questa strada tracciata,
in questo accendere e spegnere
in questi abbracci, nelle parole,
nelle cose che ci possiedono
in questa finta realtà o come dici tu
nella normalità
a me manca il fiato, soffoco.
Sono un soldato e muoio
ogni volta che un colpo dal mio stesso cuore
viene sparato.
Muoio ogni volta qua, quando una musica
esce da un bar,
una luce si accende,
ogni volta che dentro le case la gente si attende
si comprende, si spende.
Scusatemi.
SCACCO MATTO
Un cerchio non completo,
è una luna a trequarti.
Sono sguardi e poco più
poi ci sei solo tu.
La notte sapora di notte,
l’asfalto esala
e una luce cara, al mio passare si spegne.
Ora, poche altre cose rimangono degne.
Lei, beve per dimenticare.
Lui, spera di poter restare.
La compagnia seduta all’ultimo tavolo ancora sveglio
parla di storie lontane
e c’è, fuori, chi è capace di passare senza entrare,
senza guardare,
senza sbirciare.
La notte è la notte,
è la fine del giorno
dell’amore.
La notte culla il rancore
il pensiero del pensare a quelle cose rimandate,
rimaste da fare, da completare
come quel cerchio a trequarti
chiamato luna.
Come la magia
diventata disavventura.
L’ultimo spazzino
spazza i suoi pensieri,
io, cammino sulla fine del giorno,
comunemente chiamato ieri.
CERCHI ME
Ricordo ancora la stanza vuota,
piena solo di me stesso e di qualche mobile impolverato.
Le mie insicurezze protette lì,
dagli sguardi indiscreti.
Ricordo la puzza di silenzio in cui abitavo,
l’ombra, con cui giocavo, annoiata e svaccata sulla scrivania,
lenta scivolava via, lunga,
sopra quel piano lucido e ben ordinato.
Quella ragnatela, all’angolo, come me,
aspettava.
Era l’abbandono a cui mi
ero abbandonato.
Quello è il mio tempo, un tempo
che come scalpello su legno
mi ha modellato.
Ora, è difficile essere come tutti,
rimanere costante al mio sentire,
seguire i vostri umori,
i vostri discorsi
i vostri colori.
Se cerchi me, ti perdi con me,
in questo balbettare, in quello che vorrei ma non ho,
in quello che ho, ma non mi accontento.
Se cerchi me ti bruci, con me,
perché vorresti che tutto fosse semplice,
tutto fosse come gli altri,
felice.
Io apprezzo la felicità ma, a lei, non appartengo.
Se entri in me, sei nella mia stanza.
Se entri in me, spegni la luce,
spegni te, i loro, i suoi,
i tuoi, vuoi.
Nulla è come vorresti, ma
se cerchi me,
cerchi me.
QUI VA TUTTO BENE
Cammino in equilibrio,
penso, in equilibrio,
lavoro, in equilibrio,
amo, in equilibrio.
In equilibrio
tra il su e il giù
tra me e il tu.
E’ cielo, è terra
e la forza di gravità è una sorella
che sa, tutto quel che qui, c’è
e anche se sbaglio mi sorregge,
mi legge, senza aver mai di me paura.
E’ la mia migliore scusa,
mi permette di non cadere
da quel filo teso tra fantasia e realtà,
dal mio velo,
tra cuore e razionalità.
Io, sono in equilibrio sopra la città,
nulla chiedo, con questi occhi non vedo,
nel prossimo passo spero,
spero, che ancora tu mi vuoi
anche se non so tenere, non so cadere,
e macchio con chiazze di colore.
Sono tanto altrove, eppure mi basta solo un po di calore.
La gravità
è la gente sorretta che passa e va.
È lei che non chiederà più di te,
tutto è, solo quel che c’è.
La perdono e condanno
ne volare, ne cadere, mi fa,
mi tiene qui, qui per mano, in equilibrio,
sopra la città.